domenica 31 gennaio 2010

Giordano fa presto


Il pittore Luca Giordano nasce a Napoli nel 1634, si impone come fervente personalità eclettica del Barocco napoletano.
Lontano dalla sincopata coloristica della Maniera e di molti artisti napoletani contemporanei come Solimena, dimostra una leggerezza delle figure ed una scioltezza pittorica quasi labile. Scolaro del Ribera, per lungo tempo lo imitò, rasentando quasi la falsificazione, andò a visitare le Stanze Vaticane , le Logge e la Galleria Farnese, dalle quali trasse ispirazione per i suoi modelli grafici e dalle pitture romane di Pietro da Cortona.
In piena maturità si avvicinerà alla pittura veneziana, dalla quale trarrà nuova linfa per i suoi dipinti.
Con Luca Giordano le figure perdono forma e sembrano rotolare o sfuggire dalla tela dei suoi quadri, i colori sempre forti e vari rappresentano l’idea di luce gaudiosa che il pittore cerca di imprimere nelle sue opere.
Scenario dei suoi quadri è comunque il fiume di colore, in una massa dorata, accentuato da un liquido fluire di pennellate che dissolve ogni ricordo e suggestione del pittore, rappresentato magistralmente nei grandi affreschi dove la composizione ha la possibilità di svolgersi in ampie dimensioni e in grandi onde ricorrenti.
Il Giordano non ebbe vita facile, soprattutto in una Napoli così disastrata a livello urbanistico e generatrice di miserie e malattie nonostante i vari piani di ristrutturazione indetti dal vice-regno spagnolo che tendeva comunque ad arricchire le classi agiate.
A Roma il padre era soliti dirgli “Luca fa presto”, per incitarlo a finire rapidamente quelle copie che poi venivano vendute con profitto, per questo molte opere della sua produzione sono superficiali e grezze.
Questo soprannome un tempo datogli per sottolineare la sua meravigliosa capacità e rapidità di mano, ora rischia di attribuirgli un’etichetta negativa che sottolinea solo un lato meno valido dell’artista.
I disegni di Luca Giordano, che ho avuto occasione di vedere hanno suscitato in me la convinzione che molti artisti della fumettistica, devono molto al suo genio e all’abilità di dilatare le forme rendendole morbide e corpose, direi a tratti sarcastiche e caricaturali proprie della pittura spagnola che l’artista conosceva bene.
La maniera dorata ha uno splendido esempio nel Gesù fra i dottor dove la forma si dissolve ormai in veli e pulviscoli dorati. Tra le sue opere va ricordata la perduta decorazione di Montecassino del 1677, la Volta di Palazzo Medici-Riccardi a Firenze del 1682, le opere del decennio spagnolo- Cappella del Palazzo Reale di Madrid, affresci dell’Escorial, del Buen Retiro, della Cattedrale di Toledo- e la ripresa dell’attività a Napoli, con la Cappella del Tesoro in San Martino, dove le forme sembrano scomparire in un velo impalpabile di luce in netto contrasto con la teatralità fanzaghiana.
Il sogno di tutta l’arte barocca ha trovato in Luca Giordano e nei suoi fiumi immensi di colore, la piena trasposizione e rappresentazione, sarà sempre un vanto per tutti i napoletani.
Nacque, si formò artisticamente e morì (1705) nel paese del sole e del mare.
In foto: Aeneas and Turnus (Enea vince Turno) /Galleria Corsini, Firenze, Italia /176 x 236 cm

sabato 30 gennaio 2010

Le stagnanti acque della contemporaneità

Basta guardarsi intorno per capire che tutto ciò che ci circonda è qualcosa di già sentito, di già dipinto, di già letto, in pratica una propagandata originalità che si fonda su copie.
Pensando alla contemporaneità e alle migliorie in senso artistico, sono tre le domande che solitamente mi pongo:
- Come mai non nascono più geni o persone in grado di rivoluzionare stili e forme ormai obsolete di fare cultura?
- Quanto, nell’arte contemporanea è importante l’estro e la fantasia di un artista, ora che la tecnologia domina anche questo campo?
- Nelle mani di chi è stata affidata, dalle istituzioni, la conservazione della memoria storica e dei beni culturali del nostro paese?.
Certamente non è mia intenzione sottolineare tutti gli aspetti insidiosi che queste tre domande presentano, pur credendo fermamente nella gravità dei problemi che comportano, ma soffermarmi, soprattutto, sul filo conduttore che unisce questi argomenti: la mancanza di “Originalità”.
Questo termine riferito alla storia dell’arte, va interpretato come il superamento della conoscenza e del rispetto dell’antico o come la capacità di reinventare i canoni interpretativi della trasposizione dei sentimenti e delle qualità umane.
Ripercorrendo gli ultimi cinquant’anni di storia mondiale, ci si accorge che personaggi come Benedetto Croce, Dante, Rimbaud, Renoir e Picasso, non sono più rinati in nessun uomo del nostro secolo, ma sono stati sostituiti da cantanti di musica molto leggera, da calciatori incolti e da veline catatoniche, che di culturale hanno ben poco.
Questo specchio della società contemporanea è dipeso dal fatto che i ragazzi, spesso invogliati da molti genitori, vedono in questi idoli, solitamente, vuoti di contenuti culturali, un riferimento per il proprio futuro. E se le nuove generazioni rappresentano da sempre la speranza di un futuro migliore, i segnali in tal senso sono molto decadenti, dal momento che l’originalità ha subito un calo vertiginoso che è riscontrabile nella vita quotidiana e artistica.
Allo stesso modo analizzando quel che propone l’arte contemporanea, ci si accorge come nel mondo e soprattutto in Italia, siamo invasi da mostre-spazzatura o interattive come: l’arte digitale a Tokyo ( le opere sono rappresentate su display elettronici) di Tatsuya Oka e quella torinese di Piero Gilardi o come la mostra” Davaj!Russian Art Now” di Yelena Kovylina,( “Davaj” si può tradurre con un “Muoviti” ). La mostra è una accozzaglia di oggetti, cari ai paesi dell’est e privi di ogni filo logico.
L’arte contemporanea nelle sue molte rappresentazioni è un’assillante estensione di rimasugli delle innovazioni proposte dalla Pop-Art alla fine del 900, che ha prodotto un collage di idee prive di ogni forma di originalità. L’unico segno di innovazione, sta nell’invadenza della tecnologia più avanzata che porta ad una totale presenza della macchina sul pathos dell’uomo, una cosa a mio avviso del tutto negativa per la nascita di nuovi stili e di rivoluzioni culturali e artistiche.
La storia dell’arte ci insegna che già in antichità Raffaello imitava Leonardo e in anni più recenti Carrà imitava Masaccio (un pittore primitivo) e se ne potrebbero citare molti altri , questi esempi sono utili per capire che l’imitazione dell’antico per giungere al suo superamento è una pratica in uso da secoli, e continuerà ad esistere solo se il nostro patrimonio culturale avrà la giusta tutela e conserverà la propria memoria storica. In questo scenario va inserito il problema della privatizzazione delle opere e del patrimonio artistico Italiano, fatto che nelle paludi della contemporaneità , annega anche l’ultima speranza di innovazione. Se questo sistema economico verrà adottato, non ci sarà più la possibilità di fruire liberamente della cultura tramandataci , a tutto vantaggio delle classi sociali più ricche che potranno strumentalizzare opere che rappresentano la nostra gloriosa storia artistica e la conoscenza sarà solo retaggio di pochi. Questa è solo una delle ipotesi migliore poiché c’è anche la possibilità di perdere i pezzi più pregiati del nostro patrimonio artistico, infatti se il Colosseo, fosse ornato da pubblicità come uno stadio e identificato con simboli pacchiani di multinazionali, perderebbe la sua stessa ragione di esistere, che da secoli sta nel gioco segnato dal trionfo o dalla morte per divertire, con la nobile arte della lotta
Senza dubbio chi governa ha molte responsabilità e soprattutto quella di affidare la gestione del nostro patrimonio artistico, invidiatoci da tutto il mondo, a persone incapaci.
Anche su questo ultimo punto la mancanza di originalità sta nel voler utilizzare una vecchia manovra economica come la privatizzazione. Vero è che negli anni 80, portò i suoi frutti, ma anche molti problemi ancora irrisolti, uno fra tutti la mancanza di un’identità nazionale (nella perdita di grandi firme e marchi), figuriamoci cosa potrebbe accadere con la perdita dei Beni che raccontano la storia di un paese come l’Italia
L’unica originalità sta nella scelta di inetti ministri dei Beni Culturali.
Capire l’importanza di dire o scrivere: il “nostro” patrimonio culturale, sta nel termine “nostro” , perché ci identifica ,ci unisce e ci aiuta a capire ciò che oggi siamo divenuti e conserva un messaggio visivo, che deve guidare le decisioni progettuali future e restare dominante. Immaginativi quanta confusione avranno le generazioni future nell’osservare il non più “loro” patrimonio culturale, comprato da qualche magnate estero.
Spero di non dover assistere a questa deviata filosofia del guadagno che conduce alla distruzione di idiomi, icone e memorie nazionali.

venerdì 29 gennaio 2010

Il Duce e Margherita

Margherita Sarfatti comincia ad occuparsi d’arte molto presto, nata nel 1880 a Venezia da Emma Levi e Amedeo Grassi, membri dell’alta borghesia ebraica di Venezia e si sposa a diciotto anni con l’avvocato Cesare Sarfatti, anch’egli ebreo e socialista, nel 1901 scrive le sue prime pagine critiche sulla Biennale di Venezia.Era una donna colta, che parlava e scriveva in quattro lingue, giornalista prolifica e intelligente. La Sarfatti capiva l’arte e negli anni ‘20 fu la dominatrice, non incontrastata, della cultura italiana. Il grande amore della sua vita fu Benito Mussolini.Amica di Boccioni, lo ospitò nella sua villa di campagna, qui l’artista dipinse il ritratto della piccola Fiammetta, la figlia di due anni della Sarfatti, e spinta dall’artista stesso, la piccina andava ripetendo: Questo è un capolavoro e chi non lo dice è una bestia”. La Sarfatti non apprezza il Boccioni futurista ed il rapporto con il pittore si incrina. Nel ’20 Dudreville, Funi, Russolo e Sironi pubblicano il manifesto “Contro tutti i ritorni in pittura”, che riflette da vicino le idee della Sarfatti: pur non rinunciando all’eredità futurista, l’arte deve riprendere a costruire.Subito dopo la guerra, i legami affettivi con Mussolini, di cui la donna era amante dal 1912, si fecero più intensi: la Sarfatti cerca di dirozzare un uomo che lei stessa ha definito “un teppista” e ne incoraggia le scelte politiche e culturali. Nei primi anni ’20 la Sarfatti si lancia nell’organizzazione del gruppo di “Novecento”, inizialmente composto da soli sette artisti (Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig, Oppi e Sironi) che si allargherà fino a contarne centoquaranta. Ma proprio Mussolini che nel ’23 da presidente del Consiglio ne aveva inaugurato la prima mostra di “Novecento”, nel 1920, da duce, invia all’amica una lettera furibonda in cui l’accusa : Non possedete ancora il pudore di non mescolare il mio nome di uomo politico alle vostre invenzioni artistiche o sedicenti tali. Ovviamente il legame con Mussolini si allenta e nel 1938 all’indomani delle leggi razziali Margherita emigra in Sud America. Nel 1947 torna in Italia e muore nel 1961.

Mario Sironi "Margherita Sarfatti" (1916)

La riproduzione interrotta



René Magritte "La Reproduction Interdit" (1937)«Non abbiamo ricordi d’infanzia, ma solo ricordi sulla nostra infanzia. Essi non emergono dal passato remoto ma si formano in tarda età. La nostra memoria è una finzione retroattiva, retroattivamente anticipatrice, che appartiene a pieno titolo al regno della Phantasia». (J.-B. Pontalis, psicoanalista) Questo concetto fu una vera e propria rivelazione per Magritte.

Un genio



Vincent Van Gogh in un autoritratto del 1888, quando aveva 35 anni. Cominciò a dipingere dopo una serie di peripezie e dolorose esperienze sentimentali. Fu per tutta la vita un genio disperato che nessuno capiva. Riuscì a vendere un solo quadro. Oggi le sue opere hanno quotazioni da capogiro.

La Fidanzata


Bartolomeo Giuliano nacque a Susa il 15 agosto 1825. Allievo di Carlo Felice Biscarra e Carlo Arienti all'Accademia Albertina di Torino, dopo esordi romantici, si avviò gradatamente al verismo.Record d’asta: 10.06.2004, Post Prandium, olio su tela, altezza cm: 113, larghezza cm: 166, (Christie's - Roma, Euro : 55.000, Pounds : 36.220, USD : 66.260) Lotto N° 202